India my dear
- Daniele Gennara
- 28 sept 2018
- 3 Min. de lectura
Actualizado: 15 nov 2018
L’India è la mia idea di libertà.
L’india è il viaggio più entusiasmante che ho mai vissuto.
L’india è un tesoro pieno di gioielli inattesi, al cospetto dei quali si rivaluta la propria conoscenza.
L’india è quanto di più simile ci sia a Dio su questa terra: una continua serie di belle sorprese che rafforzano la fede verso la vita.
Dodici anni fa sono stato in India per due mesi, quasi sempre viaggiando il lungo e in largo con Jack, Giacomo, un mio grande amico di Mirano.
Malgrado le serate indiane a base di whisky e acqua ci abbiano regalato il binomio Jack Daniel’s, fin dal primo giorno gli amici indiani di Giacomo mi chiamarono Spritz, soprannome che arriva da vecchie abitudini universitarie post-esame.
Tutto a Bangalore era disordine, povertà, sporcizia e odori da voltastomaco. La città era, e può darsi che lo sia ancora, in piena esplosione demografica, tanto che due ring-road erano contemporaneamente in costruzione.
Il caos era impressionante.
I primi giorni furono disastrosi, ogni giorno si rischiava qualcosa senza saperlo: sono stato all’ospedale, in discarica, nei peggiori angoli della città in cerca di l’alcool e marijuana.
Un mattina, sul balcone della cucina, si ammassò il più grande nido di Vespa mandarinia - più comunemente chiamata calabrone gigante asiatico - che abbia mai visto in vita mia. E dopo una mezz'ora di discussione su come poter intervenire, io e Giacomo abbiamo deciso di munirci di protezioni caserecce e di lanciare un secchio d'acqua e detersivo contro il nido. Fece paura la furia con la quale i calabroni attaccarono la finestra della cucina, ma il giorno dopo non ce n'era più traccia.
Un giorno restammo senza soldi, senza la possibilità di ritirarli all’ATM, e scappammo dall’hotel in cui alloggiavamo.
Un giorno si ruppe la Royal Enfield, e i tempi di riparazione mettono alla prova la pazienza di chiunque.
Un giorno mi trovai faccia a faccia con un cobra.
Un giorno restammo tutto il giorno in un autobus.
Un giorno arrivò il monsone, e sembrò non aver intenzione di andarsene.
Un giorno la macchina si allagò.
Un giorno nessuno sapeva quando e se il treno sarebbe partito.
Un giorno il caldo era cosi insopportabile che avemmo le vertigini.
Un giorno alcuni bambini ci tirarono dei sassi (ma in quell’occasione non erano loro in torto).
Un giorno dormimmo in una capanna trovata in un parco, e ci svegliammo attorniati da scimmie che cercavano di aprire i nostri zaini.
Svariati giorni il nostro stomaco si stancò di lottare contro tutti gli attacchi al quale era sottoposto.
Nessun giorno fu uguale al precedente.
Man mano che i giorni passavano, e grazie all’aiuto di Jack che a quel tempo era già un indiano fatto e finito, cambiò la mia attitudine.
Mi liberai dell’apparenza che disegna quel mondo simile più ad un inferno piuttosto che a un paradiso.
Così tutto cambiò nella mia testa.
Il disordine non è il caos che rimbomba in ogni parte della città, in India è il massimo grado di libertà che le persone esprimono ogni giorno senza timore di essere diverse.
La povertà non è uno status sociale di cui vergognarsi, tutt’altro, in India è il sorriso dignitoso di ogni persona che chiede l’elemosina; il sistema delle caste elimina l’ambizione, toglie agli uomini l’egoismo, l’invidia e la violenza dell’ottenere di più a qualsiasi costo.
La sporcizia non è sudiciume, in India ogni elemento quotidiano ha un ciclo all’interno della vita comunitaria: ogni cosa inutile ad una persona viene abbandonata per essere successivamente raccolta e riutilizzata da qualcun altro.
Gli odori da voltastomaco restano odori da voltastomaco, ma immagino che il mio naso ne divenne assuefatto.
Insomma tutto, in India, ha un senso esattamente per come è.
È l’essere il grande protagonista.
Tutta la cultura indiana è ricchissima di questo essere: il sari è il tessuto e il colore, non la marca o il taglio; lo yoga è un allenamento salutare per il corpo che aiuta davvero a stare meglio, non si concentra solo ad aumentare il volume dei propri muscoli, la medicina ayurveda - il cui significato è traducibile come conoscenza della longevità - è una pratica che aiuta la salute senza il costo di un’assicurazione sanitaria; le religioni sono tolleranti perché convivono da secoli e rendono le persone pacifiche; i dabbawala di Mumbai, cioè le persone che distribuiscono i pasti porta a porta, sono infallibili anche se la città è enorme e imprevedibile.
Torno in India per il suo essere.
Parto con il mio essere e la mia cultura per cercarne il nocciolo più puro, come un moderno Parmenide che prima di scrivere il suo Sulla natura affronta il viaggia verso l’oriente alla ricerca degli antichi Veda. Lì scoprirà che Veda è Brahma, ossia che la conoscenza è divinità, e che Dio è uno e tutte le entità viventi sono Sue piccole parti integranti che partecipano della Sua natura spirituale eterna colma di conoscenza e felicità.

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